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14. I sistemi elettorali nazionali dei 27 paesi UE

8. I sistemi proporzionali reali

La diffusione mondiale dei sistemi proporzionali e la prevalenza delle varianti con liste rigide 

Il sistema “proporzionale” è di gran lunga il più diffuso in Europa e al mondo. Secondo la raccolta dati più completa disponibile, l’IDEA-handbook aggiornata al 2005, su un totale di 199 paesi 70 usano per l’elezione dei membri della principale assemblea legislativa un sistema “proporzionale” di lista e altri 30 usano sistemi misti con un elemento “proporzionale” di solito preponderante. La metà dei sistemi elettorali nazionali al mondo sarebbe quindi di tipo proporzionale di lista, puro o prevalente.

Un’altra fonte di dati, meno completa come numero di paesi, ma più precisa per l’informazione fornita, preparata e aggiornata al 2009 da un ricercatore tedesco, Nohlen, tiene conto dei 138 principali paesi con strutture democratiche divisi in cinque gruppi geopolitici: 24 paesi “occidentali” (Europa, America, Oceania), 20 paesi dell’Est europeo, 21 paesi latino-americani, 40 paesi africani e 33 paesi asiatici.

Secondo questa statistica limitata ai paesi più rilevanti la prevalenza dei sistemi proporzionali di lista è ancora più netta: dei 44 paesi occidentali e dell’Europa centro-orientale (cioè le democrazie storiche più i paesi riconvertiti dopo il 1989 alla democrazia rappresentativa), oltre l’80% usa sistemi elettorali “proporzionali”, puri o misti. Le percentuali non cambiano se si aggiungono i 21 paesi latinoamericani, mentre la parte del proporzionale scende al 66%, se si contano tutti i 138 paesi, inclusi quelli africani e asiatici. Circa due terzi dei parlamenti dei principali paesi al mondo e quattro quinti di quelli europei e occidentali sarebbero quindi eletti con un sistema “proporzionale” o prevalentemente tale.

Quello che ci interessa è quello che si nasconde dentro o dietro il sistema più diffuso.

La ricerca tradizionale, tutta concentrata sulla proporzionalità dei risultati, distingue i sistemi “proporzionali” in funzione al tipo di formula matematica di ripartizione, alla soglia di accesso legale o di sistema, alla struttura e alla dimensione media delle circoscrizioni e ai meccanismi di correzione proporzionale .

La ricerca trascura invece il processo di selezione dei singoli deputati: non esistono statistiche affidabili sulla componente personale dei sistemi “proporzionali”, mancano categorie di analisi e di confronto precise e condivise . Nonostante le lacune teoriche e l’imperfezione dell’informazione disponibile, non c’è dubbio che prevalgono nettamente le varianti con liste decise al di fuori del processo elettorale che condizionano o determinano anche il risultato finale. Una ricerca mirata permette di reperire fra un centinaio di sistemi elettorali nazionali “proporzionali” (puri o divisi in circoscrizioni, a più livelli di assegnazione dei seggi o misti con una parte dei seggi assegnati in collegi uninominali) solo nove casi in cui, una volta definite (attraverso un processo tutto da verificare) le liste dei candidati, i deputati della principale assemblea legislativa sono eletti esclusivamente in base al voto degli elettori: Svizzera e Lussemburgo, Finlandia e Polonia, Brasile e Perù, Slovenia e Lettonia e il caso particolare del Cile.

Bisognerebbe allora capire che cosa esattamente fanno gli altri 90 paesi con sistemi proporzionali e perché lo fanno.

Per svolgere quest’indagine servono criteri d’analisi che rispondano all’esigenza, assunta come primordiale, del rispetto dei diritti elettorali dei cittadini. Dal punto di vista della libertà di voto luna variabile determinante dei sistemi “proporzionali” è la relativa rigidità o flessibilità della lista che può essere (1) libera e aperta, (2) ordinata e modificabile, (3) ordinata e bloccata o (4) bloccata ma abbinata a un secondo voto per eleggere alcuni deputati individualmente. Con questo criterio diviene possibile comparare i sistemi dell’universo limitato ma significativo dei  paesi più importanti divisi in cinque gruppi geopolitici.

In 91 paesi sui 138 presi in considerazione vige un sistema “proporzionale” (puro o prevalente), di cui solo 11 usano liste aperte che permettono agli elettori di decidere liberamente quali rappresentanti eleggere.

Limitando ai 44 paesi occidentali e dell’Est europeo, si conferma con 36 casi la netta prevalenza dei sistemi proporzionali, fra cui solo 6 lasciano il potere di scegliere i singoli rappresentanti interamente agli elettori.

I sistemi “proporzionali” che con liste neutre o aperte non pongono restrizioni alle libertà elettorali rappresentano il 12% a livello mondiale e il 17% dei 36 sistemi proporzionali in uso nelle 44 democrazie europee e occidentali. La ripartizione proporzionale dei seggi viene quindi utilizzata sistematicamente, quasi nel 90% dei casi a livello mondiale e in oltre l’80% dei paesi occidentali ed europei, anche a fini diversi dell’equa rappresentazione dei partiti, e più precisamente per introdurre tramite liste ordinate un elemento di designazione extra-elettorale dei deputati.

Inoltre, non si vota solo per le assemblee legislative nazionali: in numerosi paesi, anche a tradizione maggioritaria, il “proporzionale” è utilizzato per elezioni subnazionali e nella stragrande maggioranza dei casi le varianti vigenti sono a lista bloccata o rigida . In pochi paesi esiste un’opinione pubblica matura interessata all’argomento della scelta del sistema elettorale locale e all’importanza di un verdetto diretto degli elettori sui singoli rappresentanti. Il dibattito è vivo negli Stati a struttura federale, in America e in Germania, ma poco articolato o inesistente in quasi tutti altri paesi.

Oltre le rappresentanze legislative nazionali e le assemblee elette subnazionali, esiste una terza categoria assembleare dove il sistema “proporzionale” ha saputo affermarsi più recentemente con grande successo: le elezioni al parlamento europeo.

9. L’obbligo proporzionale per le elezioni europee

I sistemi nazionali obbligatoriamente proporzionali  per le elezioni al Parlamento Europeo.

Per decisione 2002/77/EC del Consiglio Europeo, presa in seguito a diverse proposte del Parlamento Europeo, ma senza vero dibattito pubblico, l’elezione degli eurodeputati deve rispettare, in tutti gli Stati membri, alcuni principi comuni fra cui la “rappresentanza proporzionale” attraverso un sistema di voto trasferibile o un sistema di lista. La decisione che vale legge precisa che le liste di partito possono essere aperte e abbinate a un voto di preferenza o bloccate; gli Stati possono suddividere il loro elettorato in circoscrizioni elettorali a condizione di mantenere un’equa proporzione fra seggi e popolazione.
Per le elezioni al Parlamento, l’organo principale di decisione dell’UE, l’effettivo legislatore europeo, formato dai capi di Stato e di governo, impone una doppia rappresentazione proporzionale: quella delle circoscrizioni sub-nazionali e, attraverso il voto di lista, quella dei partiti (di fatto in quasi tutti i paesi gli stessi partiti nazionali).

Il Trattato UE (TUE) prevede invece una distribuzione disuguale dei seggi fra Stati membri, un’assegnazione a “proporzionalità decrescente” con un minimo di 6 e un massimo di 96 deputati per paese, con differenze estreme che superano il rapporto di 12 a 1 fra piccoli Stati meglio rappresentati (Malta ) e quelli più grandi sotto-rappresentati (Germania). Un gruppo di esperti incaricato dal Consiglio ha proposto una formula matematica uniforme di ripartizione proporzionalmente decrescente , chiamata a sostituire la ripartizione vigente, definita finora senza regola precisa, con trattativa diretta fra i governi dei 27 Stati membri.

Il TUE ha creato espressamente la figura dei “cittadini europei” che in base alla loro residenza eleggono i deputati assegnati a ogni paese, nel rispetto dei principi “classici” della democrazia, cioè a suffragio universale in elezioni libere, dirette e segrete e nel rispetto del principio generale di uguaglianza. Lo stesso TUE va fino ad affermare in modo inequivocabile “la rappresentanza diretta dei cittadini nel PE”. Se il parlamento rappresenta direttamente i cittadini dell’Unione e se si intende  sarebbe coerente rispettare la proporzionalità demografica dei paesi. In realtà si applica invece una doppia rappresentazione disuguale sia degli Stati membri sia dei partiti nazionali; la prima è ottenuta attraverso una ripartizione ibrida dei seggi basata su due criteri, Stati e popolazioni, la seconda attraverso una designazione poco democratica dei deputati, con liste rigide o bloccate. La soluzione logica per assicurare una doppia rappresentanza, di tipo federale, dei cittadini e dei paesi membri, sarebbe il modello americano e tedesco della divisione del potere fra due organi rappresentativi, un senato, quello che oggi è il Consiglio Europeo, con una rappresentanza uguale per tutti gli Stati e nominata dai governi , e un’assemblea eletta come il Parlamento dal 1979 direttamente dai cittadini, ma proporzionalmente al numero dei cittadini residenti.

La rappresentazione disproporzionale sancita dal TUE può solo essere giustificata sostenendo che la legittimità del Parlamento è fondata su un rapporto di rappresentanza non dei cittadini, ma dei popoli (al plurale), delle nazioni o degli Stati.  Potremmo accettare la confusione dei concetti come un equivoco intenzionale per alimentare la dinamica del processo di sempre maggiore integrazione, anche politica.

Comunque sia, a tutt’oggi è difficile sostenere che le istituzioni dell’UE, la legittimità del PE, il TUE e la Carta dei diritti siano fondate sulla volontà del popolo sovrano, il quale, al singolare, cioè “europeo”, non esiste o per lo meno non si è mai espresso. Le decisioni vincolanti dipendono in minima parte da un parlamento specchio deformato dei partiti nazionali, e per tutto il resto da decisioni sovrane degli Stati, di cui alcuni, è vero, hanno fatto ratificare i trattati per referendum popolare, proprio per ragioni di sovranità del loro popolo, quello “nazionale”, l’unico che esista o che finora sia in grado di esprimersi, benché sia solo raramente interpellato.

Contando non per paesi ma per deputati la statistica appare ancora più sbilanciata: oltre due terzi o 469 eurodeputati su 751 sono “eletti” su liste bloccate, cioè nominati dai partiti nazionali e solo 113 di cinque paesi (Italia, Finlandia e Lussemburgo, oltre a Irlanda e Malta, più i 3 deputati dell’Irlanda del Nord) sono eletti liberamente dai cittadini ivi residenti.

E ormai un luogo comune contestare il “deficit democratico” delle istituzioni europee. Nella democrazia rappresentativa lo strumento più importante di partecipazione dei cittadini è la legge elettorale, prima di altri strumenti quali l’iniziativa legislativa e il referendum abrogativo o confermativo. Da anni l’eurodeputato britannico Andrew Duff promuove una riforma del sistema elettorale per il PE secondo la quale ogni elettore dovrebbe avere due voti per eleggere con il primo la maggior parte dei parlamentari come adesso su liste nazionali e con il secondo altri 25 su liste transnazionali. Nonostante le buone intenzioni, il rischio è di creare con i partiti europei un’intermediazione ancora più complessa e opaca della rappresentanza europea, forse utile a un rinforzamento del PE e dei suoi membri di fronte alla Commissione e al Consiglio, ma non adatto a migliorare il rapporto di fiducia e di responsabilità fra gli eurodeputati e i loro elettori. Per colmare il “deficit democratico” dell’UE e del PE servono probabilmente altri rimedi più sostanziali .

Nel quadro fissato dal Consiglio nel 2002, 25 paesi membri sui 27 hanno scelto di eleggere i loro eurodeputati con un sistema “proporzionale” di lista, mentre gli altri due votano con sistemi plurinominali a ripartizione fra candidati, in senso stretto non “proporzionali”. La tabella 15 presenta le principali caratteristiche dei sistemi sia per quanto riguarda le regole di ripartizione dei seggi fra liste (colonne 11 e 12) sia per quanto riguarda le regole di assegnazione dei seggi ai singoli candidati (colonne 8 a 10) .

Dei 25 paesi con sistemi “proporzionali” 11 votano con liste bloccate che delegano la selezione dei singoli deputati interamente ai partiti nazionali, senza alcuna facoltà di scelta dei deputati da parte dei “cittadini europei “. Altri 11 votano con liste ordinate, più rigide che flessibili, e solo 3, fra cui l’Italia, lasciano la scelta dei deputati agli elettori che tuttavia votano per candidati di liste preparate senza obblighi di trasparenza e di democrazia dai partiti nazionali.
In tutti i casi finora menzionati, tranne uno solo, esistono limitazioni più o meno rilevanti alla libertà di accesso e alla libertà di scelta. L’unico esempio di legge elettorale “proporzionale” che nonostante l’uso della lista rispetti quanto possibile i diritti attivi e passivi degli elettori è quello finlandese, in vigore dal 1955, utilizzato sia per il parlamento nazionale che per le elezioni al parlamento europeo: un sistema di lista con un solo voto per elettore e per candidato e con la possibilità, solo in apparenza inutile, di poter formare una lista con un unico candidato.
Altri esempi di ampia libertà con “liste libere” o “aperte” sono la Svizzera (livello federale, cantonale e comunale), il Lussemburgo (livello europeo, legislativo e comunale), il sistema nazionale della Polonia (che per le elezioni europee ha preferito le liste bloccate), i comuni dei Länder tedeschi che hanno scelto questa soluzione e pochi paesi, la Lettonia, la Slovenia e alcuni Stati latino-americani dove un voto di preferenza decide interamente l’ordine di elezione dei candidati.